La Chiesa e l’aldilà

E’ questo il titolo della Nota Pastorale pubblicata dalla Conferenza Episcopale Emiliana il 23 Aprile 2000. La Nota affronta un problema delicato e controverso nei riguardi dei quale non c’è unanimità di atteggiamento nemmeno all’interno del mondo cattolico. Il problema è quello dell’atteggiamento di fronte alla morte improvvisa di un congiunto, evento altamente traumatico che colpisce profondamente il nucleo familiare improvvisamente privato di uno dei suoi membri: senza ragione, senza preparazione, senza la consolazione di avere dato al proprio caro l’ultimo saluto.

Queste morti improvvise lasciano un vuoto profondo in coloro che rimangono sulla terra. Essi vivono il rimpianto per tutte le cose non dette, per le piccole incomprensioni non risolte, per tutto ciò che avrebbero voluto portare a termine con il proprio caro e che invece è stato bruscamente e definitivamente troncato dalla morte. Queste persone colpite cosi duramente da un lutto non hanno avuto la possibilità di farsene una ragione, di prepararsi all’evento, e subiscono quindi un terribile trauma. E naturale, in questa situazione, che essi cerchino di “portare a termine” queldialogo interrotto senza preavviso, che cerchino di sapere come sta il proprio caro e come egli vive la sua esistenza ultraterrena.

Il desiderio di ritrovare un contatto con il proprio caro defunto, specialmente se si tratta di un giovane morto tragicamente (per esempio, in seguito a un incidente stradale), ha spinto molti genitori a cercare un modo per stabilire una comunicazione con l’aldilà. Coloro i quali ritengono di essere riusciti a farlo hanno pensato che conoscere la loro esperienza e la loro gioia per il ritrovato contatto ” potesse essere motivo di conforto anche per gli altri genitori colpiti dallo stesso dolore. Da questo scambio di esperienze – che ha dato origine a libri, audiocassette, videocassette e materiale vario -, è nato un vasto movimento costituito da un network di gruppi presenti in tutto il Paese e all’estero. Molti di questi genitori si dichiarano cattolici praticanti e affermano che la pratica della comunicazione con l’aldilà (nella forma e con le motivazioni loro proprie) non è contraria all’insegnamento della Chiesa cattolica. Accanto a questi genitori ci sono alcuni sacerdoti cattolici che li sostengono e forniscono loro assistenza spirituale.

All’interno di questo mondo ci sono, peraltro, molte differenziazioni e sfumature di orientamenti e dottrine, per cui non è possibile fornire univoche indicazioni descrittive. E’il caso, comunque, di segnalare alcuni fenomeni particolarmente gravi e preoccupanti. Si tratta di quei piccoli gruppi che nascono intorno a un medium che ritiene di essere in grado di comunicare con l’aldilà. Questi gruppi, di solito piccoli, tendono a fossilizzarsi nella ricerca “spasmodica” del contatto con i morti.

Quando questo “contatto” diventa stabile e a frequenza regolare può accadere che il defunto il quale “comunica ” dall’aldilá a poco a poco si trasformi, agli occhi dei membri del gruppo, in un nuovo “profeta”, che usa il medium come suo tramite: egli “rivela” di avere una missione affidatagli da Dio e, da quel momento, comincia a trasmettere messaggi rivolti all’intera umanità. E’ questa la genesi di “nuove rivelazioni”, più ci meno coerenti con l’insegnamento cattolico.

L’aspetto più preoccupante di questo fenomeno è il fatto che i defunti che “comunicano” vengono considerati non solo “santi”, ma anche vere e proprie “guide” che avrebbero l’autorità di indicare a chi riceve e recepisce i loro messaggi la strada da seguire sia nelle scelte spirituali sia in quelle umane. Il pericolo nascosto in queste esperienze è quello di sostituire l’unica guida certa per i cristiani, Gesù Cristo, con queste nuove “guide” e l’unica verità espressa nei Vangeli con i “messaggi” ricevuti durante le sedute medianiche. Un ulteriore motivo di confusione si verifica quando questi messaggi vengono pubblicati e diffusi nel mondo cattolico con il consenso e l’approvazione di sacerdoti cattolici.

In questa situazione controversa e confusa i vescovi dell’Emilia Romagna hanno inteso fare chiarezza emanando la Nota Pastorale “La Chiesa e l’Aldilà”. Dopo avere presentato, nella parte introduttiva, le linee generali del problema. i vescovi ricordano ai fedeli le verità che fondano la speranza cristiana e che vengono troppo spesso dimenticate dai cattolici. La prima verità dimenticata è quella che identifica in Cristo risorto la speranza dei cristiani. E solo perché Egli è risorto che il cristiano ha la certezza della propria resurrezione:

“Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15, 20).

La verità della resurrezione della carne, difficoltosa da accogliersi nel mondo ebraico e greco, nella Chiesa è ribadita costantemente ed è entrata appieno nel Simbolo apostolico – il Credo – per evitare che si diffondesse fra i cristiani un’interpretazione strettamente spiritualista della resurrezione dei morti. Tutti gli uomini, inoltre, sono chiamati alla resurrezione; i primi cristiani la attendevano come imminente e Paolo ricordava a coloro che temevano per quelli che erano morti prima della parusia, che la resurrezione non riguardava solo i vivi, ma anche i defunti. Lo stesso san Paolo considerava “il morire un guadagno” (Fil 1,21 ) e giá prima di lui era maturata la convinzione che la morte dei giusti non fosse la fine di tutto, ma l’inizio di una nuova vita. Sulla base degli insegnamenti biblici e della tradizione ecclesiale, i vescovi concludono sottolineando che, nonostante la morte rimanga sempre un fatto drammatico e doloroso, se vissuta alla luce della speranza cristiana, essa si può trasformare in quel momento privilegiato in cui avviene il ritorno di un figlio nella Casa del Padre, dove viene accolto e custodito per sempre nella pace eterna. La seconda verità dimenticata dai cristiani è quella che riguarda l’esistenza della comunione con i propri defunti, da sempre affermata nella chiesa- e ribadita anche nel decreto conciliare Lumen Gentium:

“L’unione di quelli che sono ancora in cammino con i fratelli che sono morti nella pace di Cristo non viene interrotta dalla morte, ma, come da sempre crede la Chiesa, viene invece consolidata dalla comunione nei beni spirituali” (LG 49).

Per comunione si intende uno scambio di beni spirituali tra vivi e morti realizzato dai vivi attraverso la preghiera, le opere di carità, la celebrazione della Santa Messa, e dai defunti grazie alla loro intercessione presso Dio in favore dei vivi. Questo scambio spirituale non ha nulla a che fare con l’evocazione degli spiriti dei defunti, condannata non solo nell’Antico e Nuovo Testamento, ma anche in occasione del Concilio Vaticano II, dove viene definita come qualsiasi metodo con il quale:

“si cerca di provocare con tecniche umane una comunicazione sensibile con gli spiriti o le anime dei defunti per ottenere notizie e diversi aiuti”.(1)

La condanna di qualsiasi tipo di evocazione dei defunti è ribadita anche al n. 2116 del Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992, e nella Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Toscana, emanata il 15 Aprile 1994, nella quale è definita:

“Una forma di alienazione dal presente e una mistificazione della fede nell’aldilà”.

Dopo avere ricordato le verità dimenticate, la Nota Pastorale dedica un capitolo ai “Movimenti che pretendono di comunicare con “l’aldilà” che si diffondono anche nel mondo cattolico e richiedono da parte della Chiesa, custode della verità, un serio discernimento riguardo alla loro ortodossia. La ricerca di contatti con i propri defunti:

“…trova oggi più facilmente accoglienza nel diffuso fenomeno dei movimenti che presumono di comunicare con l’aldilà”.

Questi movimenti diffondono una:

“…forma di evocazione degli spiriti ritenuta più compatibile con la religione, meno polemica con la Chiesa stessa, anzi più alla ricerca di dialogo e di consenso da parte della gerarchia ecclesiastica”.

Riguardo al coinvolgimento di sacerdoti cattolici che, in occasione di convegni promossi da questi movimenti, celebrano il sacrificio eucaristico, i vescovi emiliani affermano che:

“…non basta a garantire la legittimità di queste iniziative la presenza di sacerdoti, i quali sono tenuti a chiedere al vescovo l’autorizzazione, che non si vede dei resto come sia possibile concedere”.

Riguardo alle idee, i comportamenti e le tecniche praticate per “comunicare, ” con l’aldilà, la Nota afferma cheessi:

«…suscitano seri dubbi sulla ortodossia di tali movimenti poiché “sollecitare messaggi dai morti per nostra sicurezza è non fidarsi della parola di Dio”,

è fidarsi più di messaggi umani che del messaggio di Dio. Inoltre l’uso di mezzi tecnologici per comunicare con l’aldilà:

“…dà solo l’illusione di comunicare. In realtà si comunica solo con se stessi, o meglio, con l’immagine del figlio o del defunto che è nel proprio inconscio”.

Sulla base di queste considerazioni i vescovi richiamano i fedeli a ricercare in Cristo il fondamento della speranza e la propria consolazione. Se Cristo non basta:

“…si finisce per cadere in movimenti che acquistano i contorni di una setta – derivata dal cristianesimo – ma che si pone fuori dal cristianesimo”.

Riguardo alla dottrina della reincarnazione che nella spiritualità dei movimenti che propongono forme di comunicazione con l’aldilà si può mescolare con la spiritualitá cristiana, i vescovi ribadiscono l’inconciliabilità di questa dottrina con quella della resurrezione, ricordando che:

“Cristo stesso è risorto, non si è reincarnato”.

L’ultimo capitolo della Nota Pastorale riguarda la necessità di intensificare la nuova evangelizzazione per affrontare adeguatamente questo fenomeno generato anche dal vuoto di fede e valori che affligge l’intera società e non risparmia certamente i cattolici. I suggerimenti per la pastorale di coloro che sono coinvolti in questi movimenti sono tre:

evangelizzare, vigilare, accompagnare.

In primo luogo occorre riscoprire l’evangelizzazione propria della tradizione ecclesiale di sempre, nella quale si ricorda al cristiano il senso della morte, della resurrezione e della comunione spirituale con i defunti. Occasioni privilegiate per questa evangelizzazione sono le celebrazioni liturgiche dedicate ai defunti, ma essa deve svolgersi anche nella predicazione ordinaria poiché evitare di parlare della morte – contrariamente a quanto generalmente si pensa – non allevia le sofferenze dei familiari, ma li priva, piuttosto, del conforto che può venire loro dalla fede nell’esistenza della vita eterna e della sopravvivenza dell’anima. Alla predicazione e alla preghiera si devono aggiungere la vicinanza e la solidarietà umana manifestate nei riguardi dei familiari dei defunti da parte della comunità ecclesiale. In secondo luogo i vescovi ricordano la necessità di vigilare sulle insidie di Satana, che può servirsi di un momento particolarmente doloroso come qui vissuto da chi è colpito da un lutto, per suscitare nei cristiani un’insana curiosità e una smania di ricerca di fenomeni straordinari e contatti medianici che potrebbero prendere il posto della speranza fondata sulla Parola di Dio. La morte improvvisa può divenire, per chi ne soffre le dolorose ripercussioni, occasione per vivere concretamente nello spirito delle vergini savie che hanno vigilato e ricevuto il premio, diversamente dalle stolte che non sono state previdenti, La morte improvvisa, infatti, ricorda ai cristiani che bisogna farsi trovate “pronti” in qualsiasi momento perché nessuno conosce il giorno e l’ora della propria morte. In terzo luogo i vescovi raccomandano alle comunità cristiane l’accoglienza e il sostegno morale e spirituale nei riguardi delle famiglie colpite da un lutto soprattutto nei primi momenti, quelli più difficili e dolorosi. Questo ministero è denominato ministero di consolazione, e dovrebbe essere svolto da persone sensibili e spiritualmente formate che potrebbero sensibilizzare l’intera comunità al problema della malattia, del dolore e della morte anche attraverso la preparazione di celebrazioni liturgiche e momenti di preghiera ad hoc.

E in questo modo che si realizza la comunione di beni spirituali (l’offerta di preghiere e sacrifici) tra i figli di Dio ancora pellegrini sulla terra e quelli passati nell’altra vita. La grande sofferenza di chi viene duramente colpito da un lutto diventa cosi, nella Chiesa, una ricchezza spirituale perché, se offerta al Signore, è fonte di grazia nell’esercizio eroico delle tre virtù teologali: la fede nella vittoria di Cristo sulla morte; la speranza di ricongiungersi spiritualmente alla persona cara nel giorno stabilito dal Signore; l’amore verso Dio e verso i fratelli, amore che, sostenuto e nutrito dalla grazia sacramentale, porterà frutti spirituali in sovrabbondanza per se stessi, per la salvezza della persona cara e per l’intero Corpo Mistico di Cristo.

di Raffaella di Marzio

note:

(1) cfr. Commissione Teologica Internazionale, Problemi attuali di escatologia, 16 novembre 1991, in EV 13/531.

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