E la rappresentanza dei discepoli che non corrisponde con la realtà storica ci mostra ancor meglio il concetto simbolico ed esprime evidentemente la cumunione stessa eucaristica. Un tale concetto è pure indicato assai chiaramente in un sarcofago di Arles, ove accanto al prodigio della moltiplicazione è rappresentata la mensa col pesce, che non può essere un accessorio storico del fatto biblico, ma indica senza dubbio il significato eucaristico di quel gruppo.
Negli accennati conviti dipinti nelle catacombe si nota quasi sempre il numero costante de sette personaggi; e questo ci fa pensare a quei sette discepoli che secondo il racconto di S. Giovanni mangiarono con Gesù risorto là sulla sponda del lago di Tiberiade. E talvolta la rappresentanza di questo fatto è resa più manifesta dal particolare che i convitati sono dipinti quasi ignudi per indicare che essi erano pescatori, e che venivano appunto dalle loro barche dopo aver pescato tutta la notte, come narra il Vangelo. E appunto questa disposizione speciale di sette persone con l’accompagno dei canestri ricolmi di pani ci fa distinguere negli affreschi cimiteriali il banchetto eucaristico da quello che simboleggia soltanto il convito celeste, ove il numero dei convitati è qualunque e mancano questi altri accessori.
Un altro simbolo non meno importante, ma più raro nelle pitture cimiteriali, è quello dlla prodigiosa mutazione dell’acqua in vino avvenuta nelle nozze di Cana; tipo anche questo e figura del banchetto eucaristico e della trasformazione sagramentale. Ed in maniera assai espressiva lo vediamo in due affreschi del cimitero del Ss. Pietro e Marcellino congiunto al banchetto celeste, di cui l’Eucaristia è un pegno sicuro; e così pure su numerosi sarcofagi. Ma se il dogma dell’Eucaristia è affermato in queste scene che con frequenza si ripetono sui monumenti delle catacombe romane, esso è in modo più chiaro e solenne attestato da alcuni speciali dipinti veramente preziosi sui quali per la loro speciale importanza dovrò diffondermi alquanto di più.
Il primo per antichità è un gruppo ripetuto due volte in un cubicolo del cimitero di Callisto sulla via Appia in quella parte che il De Rossi chiamò Cripte di Lucina; regione certamente antichissima e da cui si svolse quel cimitero. L’affresco non è posteriore agli esordi del secondo secolo, essendo della mano stessa di altri che in quelle cripte ci presentano il vero stile pompeiano. Vi è dipinto un pesce unito ad un canestro vimineo ricolmo di pani, fra i quali apparisce chiaramente un piccolo vaso roseggiante di vino. È evidente che in questo gruppo il ricordo della moltiplicazione evangelica fu messo in relazione all’Eucaristia, giacchè l’elemento del vino non ha che fare con quel prodigio è dà alla pittura il significato eucaristico. (Fig. 2-3).
Fig. 2.
Fig. 3.
Simboli eucaristici. — II secolo
(Cimitero di Callisto).
Nè solo deve riconoscersi il questo gruppo un’allusione eucaristica, ma una vera e propria dichiarazione della fede cristiana nel dogma della presenza reale; giacchè l’unione materiale del pesce col canestro contenente gli elementi eucaristici esprime chiaramente la compenetrazione delle sacre specie con Gesù Cristo stesso.
Il De Rossi credè che il pesce delle cripte di Lucina fosse rappresentato vivo e nuotante nelle acque col canestro sul dorso, onde vi riconobbe il « panis verus et aquae vivae piscis » indicato da S. Paolino di Nola.
Ad altri è sembrato invece che in quel dipinto il pesce stia fuori dell’acqua e sia semplicemente unito al canestro dei pani. Ma è chiaro che qualunque di queste due opinioni si accetti, il significato eucaristico del gruppo rimane essenzialmente lo stesso. Aggiungerò altresì che il cesto vimineo e le tazze di vetro dipinte nelle cripte di Lucina rappresentano pure in maniera reale il modo, con cui talvolta nei primi secoli soleva portarsi l’Eucaristia, e ci fanno ricordare del passo di S. Girolamo che scriveva a Rustico: « Nihil illo diutius quam qui corpus Domini in canistro portat vimineo et sanguinem eius in vitro » (3).
Ed ora senza uscire dal cimitero di Callisto, il massimo dei cimiteri romani, torniamo a quelle cripte che diconsi dei sagramenti e dove si ammira una serie nobilissima di pitture simboliche non posteriori al principio del terzo secolo.
Mirabile è l’ordine logico con cui si succedono questi affreschi preziosi, ispirati senza dubbio all’artista da un dottore ecclesiastico.
A capo della serie è raffigurato Mosè nell’atto di far scaturire l’acqua dalla rupe del deserto, simbolo della Chiesa, la quale dalla pietra mistica raffigurante Cristo trae l’acqua della grazia, origine dei sagramenti. Da quell’acqua infatti, che è sgorgata giù dalla rupe, il mistico pescatore trae un piccolo pesce, rappresentando simbolicamente il battesimo, e a questo fa poi seguito un altro simbolo battesimale, cioè la figura del paralitico risanato nella piscina probatica.
Dopo il sagramento della iniziazione cristiana, in un altro cubicolo prossimo sono dipinte due scene allusive al gran mistero eucaristico. Nel centro vi è il consueto banchetto dei sette personaggi accompagnato dai canestri. Questi convitati, che mangiano pane ed il pesce, sono i fedeli, i quali purificati dalle acque della grazia si siedono al banchetto dell’agnello divino, che è preparazione a caparra della beatitudine celeste. (Fig. 4.).
Fig. 4.
Banchetto eucaristico. — III secolo.
(Cimitero di Callisto).
Ma poi il significato eucaristico del gruppo è reso anche più manifesto dall’altra scena effigiata a sinistra ed unica fino ad ora (4). (Fig. 5.).
Fig. 5.
Oblazione eucaristico. — III secolo.
(Cimitero di Callisto).
Qui è rappresentato un personaggio vestito di solo pallio, ritto in piedi ad un tripode su cui sta un pane ed un pesce, e l’uomo protende verso quei cibi la mano destra in atto evidentemente consecratario. D’altro lato del tripode è collocata una figura muliebre che alza le braccia in atteggiamento di preghiera.
La spiegazione del nostro gruppo è chiaro. Noi abbiamo qui riprodotta l’azione del sacrificio eucaristico ed il momento stesso dela consecrazione, quando il pane diviene ιχϑυς, cioè il corpo di Cristo Figlio di Dio Salvatore. La donna orante alla destra è da taluno spiegata come l’anima della defunta sepolta in quel cubicolo, giacchè è noto che le oranti rappresentano le anime de’ trapassati. Ma troppo nobile sarebbe quel posto per una persona privata ed è chiaro che qui l’artista ha voluto effigiare la Chiesa, la quale pure si dipingeva sotto l’allegoria di una donna orante. Qui dunque è rappresentata la Chiesa che innalza le sue preghiere innanzi all’altare del sacrificio eucaristico; e ciò corrisponderebbe al pensiero di S. Cipriano, che scrisse essere le più possenti preghiere quelle fatte innanzi alle offerte consecrate. E l’interpretazione del sacrificio data al gruppo, di cui ci occupiamo, è confermata ancora dall’altra scena della stessa parete che fa simmetria a quella descritta. Ivi infatti è dipinto l’episodio del sacrificio d’Abramo, figura e tipo del grande sacrificio della redenzione. Se ora questa veneranda cripta del cimitero di Callisto passiamo ad una contigua, ci troveremo innanzi ad un altro gruppo simbolico, che merita pure la nostra attenzione.
Nell’alto della parete entro un semicerchio è ripetuto lo stesso tripode con il pane ed il pesce e questo è colocato fra i sette canestri della moltiplicazione. Evidentemente anche qui si volle ricordare il prodigio che fu tipo e figura dell’Eucaristia.
Ma la disposizione di quel pane e di quel pesce sulla mensa in forma di altare che è collocata nel posto d’onore, accenna senza dubbio alle specie eucaristiche già consecrate e preparate per i fedeli, accenna alla mensa Domini; e giungerei a dire che implica quasi il concetto della adorazione del gran mistero.
A queste preziose pitture illustrate dottamente dal De Rossi e da altri archeologi, che ne hanno seguito gli ammaestramenti, si aggiunge pochi anni or sono un altro monumento insigne scoperto nell’antichissimo cimitero di Priscilla. L’affresco si vede nel fondo di una grande cripta già conosciuta in quel cimitero e adorna di altri dipinti antichissimi. Esso per il luogo ove trovasi e per lo stile fi giudicato dagli archeologi opera del principio del secondo secolo. (Fig. 6).
Fig. 6.
La « Fractio panis » Comunione eucaristica. — II secolo.
(Cimitero di Priscilla).
Una tavola di forma ricurva intieramente ricoperta di un drappo quale usavasi dagli antichi, occupa in lunghezza tuto il campo del quadro e su questa sono collocati due piatti, uno con alcuni pani, l’altro con un pesce. Alla mensa sono assisi sei personaggi, cinque uomini cioè, ed una donna velata. A capo del tavolo a sinistra del riguardante è seduto un personaggio barbato, il quale con ambo le mani protese sopra il tavolo sta in atto di spezzare il pane mentre a lui dinanzi è posto il calice del vino.
A destra e a sinistra del banchetto sono disposti i consueti sette canestri che ricordano, come sempre, il prodigio della moltiplicazione. Quest’ultimo particolare ci mostra per le cose già dette, che nel convito delle catacombe di Priscilla noi dobbiamo riconoscere il convito eucaristico. Posto ciò tutto si spiega assai facilmente. Il personaggio barbato in quel nuovo atteggiamento è il sacerdote, o il vescovo, il προεστος, o presidente nominato da Giustino, il senior di tertulliano, il quale preseiede l’adunanza liturgica e compie il rito della fractio panis ricordato come il rito eucaristico per eccellenza negli atti degli apostoli e nelle lettere di S. Paolo; i sei personaggi sono i fedeli che assistono alla liturgia e si dispongono a mangiare il pane divenuto ιχϑ;υς, cioè il corpo di Cristo, ed a bere il calice salutare.
Questa pittura è preziosa per la sua antichità e per la novità della composizione; e può ben dirsi che essa rappresenta la liturgia eucaristica del secondo secolo, in quale doveva celebrarsi appunto in quella cripta cimiteriale che è un vero santuario dell’ipogeo priscilliano (5).
Però in questa pittura la liturgia non è rappresentata in modo reale come vorrebbe taluno, ma piuttosto in maniera simbolica con l’aggiunta di un particolare al tutto realistico, quale si è la figura del personaggio che spezza il pane. Infatti non può ammettersi che nel secondo secolo la liturgia eucaristica si celebrasse insieme all’agape come apparisce nell’affresco di Priscilla, perchè tale uso era stato già abbandonato fino dai primi anni di quel secolo; e la presenza stessa dei canestri dei pani moltiplicati basta per dare un significato simbolico a tutta la scena.
Abbiamo dunque nell’insigne dipinto un’altra rappresentazione simbolica del sacrificio diversa da quella descritta del cimitero di Callisto, più antica di quella e con l’aggiunta dell’atto liturgico quale operavasi dal sacerdote. E possiamo dire che se nella prima è rappresentato l’atto della consacrazione, nella seconda è più specialmente riprodotto il momento della comunione.
Dopo aver parlato di monumenti così insigni sarebbe forse superfluo accennare ad altri minori che si riferiscono al grande mistero; ma per non trascurare nulla di ciò che può riguardare il mio tema li accennerò soltanto di volo.
I pani ed i pesci sono talvolta incisi o scolpiti sulle pietre sepolcrali delle catacombe e sempre collo stesso significato eucaristico. Ed essi talvolta sono disposti per modo da esprimere un concetto speciale, cioè l’ardente desiderio dei fedeli verso l’eucaristia; e così può intendersi il gruppo dei pesci che corrono verso i pani crocesignati (6). Ed il pensiero stesso è pure indicato nell’altra composizione più frequente della colomba che si dirige verso il vaso simbolico o che becca il grappolo della mistica vite.
Ma questo misterioso simbolismo eucaristico, costantemente riprodotto nei monumenti delle catacombe romane e che tanto bene si accorda colle testimonianze dei padri e degli scrittori ecclesiastici, trova pure una splendida conferma in due insigni iscrizioni, una appartenente alla Chiesa orientale, l’altra alla occidentale. La prima è l’iscrizione sepolcrale di Abercio vescovo di Jeropoli nella Frigia, dei tempi di Marco Aurelio, il cui testo ci era già noto dagli atti di quel santo pubblicati dal Metafraste e dai Bollandisti, epigrafe rinvenuta alcuni anni or sono ma in due soli frammenti che ora si custodiscono nel museo cristiano Lateranense. (Fig. 7). Divagherei dal tema se io volessi qui trattare diffusamente del monumento insigne e delle recenti controversie archeologiche cuo esso ha dato luogo; cose tutte che possono leggersi nei vari scritti da me e da altri pubblicati su tale argomento (7), Dirò solo che gli sforzi di alcuni protestanti desiderosi di mostrare il carattere pagano di quell’epigrafo sono riusciti inutili e vani.
Fig. 7.
Frammento della iscrizione di Abercio. — II secolo.
(Museo lateranense).
E noi possiamo continuare a considerare insieme al De Rossi questa iscrizione come la regina delle iscrizioni cristiane.
Or bene l’iscrizione di Abercio importante per tanti punti del dogma cattolico lo è sopratutto per l’Eucaristia, ed io ne riporterò qui una parziale versione (Fig. 5).
« Io son Abercio, il discepolo del Pastore immacolato che pasce le sue greggi per i monti e per le valli, che ha grandi occhi che vedono tutto. Egli mi insegnò la dottrina della vita, e mi mandò a Roma a contemplare un regno ed una regina vestita di oro e con aurei calzari: ed ivi io vidi un popolo decorato da uno splendido segno; e vidi i campi della Siria e Nisibi passato l’Eufrate. E dovunque io trovai fratelli riuniti insieme….. E la fede mi fu sempre di guida e mi diè per cibo il pesce grande che la Vergine casta estrasse dalla fonte e diè a mangiare ai suoi amici avendo ottimo vino e ministrando loro una mescolanza di vino e di acqua insieme al pane ». – Chi non riconosce in queste frasi di Abercio lo stesso pensiero che guidò i pittori delle catacombe romane rappresentando in diverse maniere il pane ed il pesce con la coppa di vino? Chi leggendo questo carme non corre colla mente al celebre affresco callistiano della consacrazione eucaristica dove sulla mensa è imbandito il pane e il pesce, e dove la donna, mentre rappresenta la Chiesa può anche simboleggiare la Fede che porge ai cristiani il cibo divino secondo l’espressione di Abercio? Lo stesso linguaggio simbolico troviamo in un’altra epigrafe contemporanea scoperta prima assai nelle Gallie e precisamente ad Autan. Il cristiano per nome Pettorio, cui essa appartenne, si rivolge agli altri fedeli chiamandoli figli dell’ ιχϑυς celeste e li invita a purificarsi del cibo eucaristico.
« O divina prosapia del pesce celeste conserva sempre un cuor puro e ricevi qui fra i mortali la sorgente immortale delle acque. – O amico, cura la tua anima con l’acqua largitrice di sapienza. – Ricevi il cibo dolce come il miele del Salvatore dei Santi, mangia con grande desiderio tenendo il pesce nelle tue mani ».
Parole preziose che si rannodano allo stesso ordine d’idee fin qui commentate, e ci richiamano pure al pensiero l’acqua della grazia dipinta nei cubicoli di San Callisto insieme al pesce eucaristico e il dolce latte della visione di S. Perpetua espresse egualmente nelle pitture cimiteriali; e che finalmente ci ritraggono al vero lo stesso atto liturgico della comunione dei primi secoli, quando i fedeli nelle loro mani ricevevano il cibo eucaristico.
La corrispondenza meravigliosa delle due iscrizioni di Abercio e di Pettorio con i monumenti delle catacombe romane ci mostra l’accordo perfetto sul dogma dell’Eucaristia fra le due Chiese di Oriente e di Occidente fin dal secondo secolo; e ci autorizza pure a supporre che Abercio abbia veduto quelle pitture che noi abbiamo descritto o altre dello stesso soggetto.
E possiamo pure supporre che egli, accennando alle adunanze dei fedeli, alle quali intervenne, e dove la fede gli presentò il mistico nutrimento del pesce volesse ricordare pur quelle che tenevansi nelle catacombe romane innanzi forse a quelle stesse pitture che noi ancora vediamo.
L’epigrafe di Abercio allude alle adunanze dei primi fedeli, e ciò mi offre l’opportunità di accennare alle sinassi eucaristiche nei cimiteri di Roma.
E cosa certissima che fin dai primi tempi si usò celebrare la liturgia sulle tombe dei martiri; e basterebbe la testimonianza degli atti di S. Policarpo scritti poco dopo la morte di lui, nel 155, ove si accenna al sagrificio, che doveva offrirsi sulla sua tomba nel giorno anniversario. La stessa cosa è riferita in altri atti sinceri di martiri; ma se pure i documenti storici restassero muti, basterebbero le catacombe romane a mostrare la verità di un tal fatto presentandoci esse numerose cripte di forme svariate, le quali senza dubbio servirono alle adunanze dei fedeli anche nei secoli delle persecuzioni. E tali adunanze tenevansi con piena libertà certamente anche prima di Costantino; giacchè è certo che i cristiani ebbero il libero possesso dei loro cimiteri nei primi tre secoli, essendo quei luoghi garantiti e difesi dalle leggi romane che tutelavano la inviolabile proprietà delle tombe. Siffatta libertà ebbe però delle interruzioni; giacchè sotto il regno di Valeriano nel 258 e poi durante quello di Diocleziano le catacombe furono confiscate. Anche allora però i cristiani continuarono il pio costume di adunarsi a pregare nei cimiteri. Ma la violenza dei persecutori li raggiunse anche in quei profondi recessi; e là sulla Salaria innanzi all’avello dei SS. Crisanto e Daria la Messa dei Martiri fu interrotta dal martirio stesso degli adunati; e sull’Appia il pontefice Sisto II venne sorpreso dagli sgherri imperiali, mentre celebrava sulla cattedra, e fu condannato a morire nel luogo stesso ove aveva adunato i fedeli. E fu allora che egli venne raggointo dal santo levita Lorenzo, cui il vecchio Papa predisse imminente il glorioso martirio.
E a queste adunanze vietate da Valeriano ai fedeli si collega probabilmente l’episodio di quella comunione nelle catacombe, che resterà memorabile nei fasti della Chiesa perseguitata, perchè diè occasione alla tragica morte di Tarsicio, il primo martire dell’Eucaristis. Fu là sulla via Appia, la via dei trionfatori romani, divenuta, poi la via trionfale dei Martiri, fu là che il giovane accolito, recante le sacre specie ai confessori racchiusi nelle prigioni, volle piuttosto morire che cedere ai profani i misteri divini. Onde meritò poi dal gran Damaso il bellissimo elogio che venne inciso sul suo sepolcro:TARSICIVM SANCTVM CHRISTI SACRAMENTA GERENTEM CUM MALE SANA MANUS PETERET VVLGARE PROFANIS IPSE ANIMAM PITIVS VOLVIT DIMITTERE CAESVS PRODERE QVAM CANIBVS RABIDIS COELESTIA MEMBRACon queste parole il poeta Pontefice del quarto secolo attestò solennemente la fede della Chiesa sulla presenza reale nella Eucaristia, giacchè egli chiamò le specie aucaristiche « il corpo di Cristo ». – Coelestia membra. –
Ecco adunque una insigne ed esplicita testimonianza che l’antica Chiesa non ammetteva la presenza reale nel momento soltanto della comunione come ammettono i protestanti, ma che riconosceva tale presenza anche molto tempo dopo la consecrazione e quando le specie consecrate si portavano lungi dal luogo dove si era celebrata la liturgia.
La Chiesa antica pertanto, di cui Damaso rappresenta la tradizione, aveva su questo punto così importante del dogma cristiano la fede stessa che ha presentemente la Chiesa Cattolica.
Ma quando vennero i giorni della pace costantina non cessò l’uso delle sotterranee adunanze liturgiche sulle tombe dei Martiri. Basiliche risplendenti si innalzarono allora sui loro sepolcri: ma il pio costume delle riunioni liturgiche negli ipogei continuò ancora.
E così Prudenzio, che alla fine del quarto secolo visitò i cimiteri romani, descrivendo la cripta di S. Ippolito sulla via Tiburtina ci indica l’altare donde dispensavasi il Sacramento ai fedeli.
Illa sacramenti donatrix mensa eademque
Custos fida sui martyris apposita
Servat ad aeterni spem iudicis ossa sepulcri.
Pascit idem sanctis tybricolas dapibus.
Il poeta accenna in quel carme alle turbe numerose di visitatori che si affollavano nei sotterranei ambulacri; e di tanta pietà ci restano a testimonio i nomi stessi dei fervorosi devoti, che, discesi in quelle cripte, graffivano qua e là sull’intonaco delle pareti acclamazioni e preghiere.
Ai devoti pellegrinaggi succedettero i giorni di abbandono per le catacombe, allorquando le spoglie gloriose degli eroi della fede vennero tolte da quei sotterranei e trasferite nelle grandi basiliche dell’eterna città; e per più di dieci secoli cessò ogni adunanza liturgica nelle cripte venerande crollate sotto le rovine.
Ma era riservata ai giorni nostri la gloria e la gioia di restituire allo studio e alla pietà gli obliati avelli di tanti martiri e di rinnovare l’oblazione eucaristica e la comunione dei fedeli fra quelle pareti che videro le adunanze dei primi secoli.
Il ricordo dell’Eucaristia e dell’ardente brama che i fedeli avevano di quel mistico cibo apparisce per ogni dove nei venerandi santuari delle catacombe e ci accompagna sotto le varie forme ed allegorie dai tempi apostolici fino all’abbandono di quei sacri luoghi. E la schiera nobilissima di quei monumenti ed il significato loro in rapporto alla vita futura ed alla celeste beatitudine ci mostra sempre più chiaramente che il dogma eucaristico è giunto dai tempi apostolici fino a noi intemerato, e che per gli antichi fedeli l’Eucaristia non era già uno sterile ricordo della cena, come pretendono i protestanti, ma era veramente il centro del culto, l’anima della vita cristiana, il sole splendidissimo della Chiesa.
Della liturgia eucaristica primitiva si svolse poi quella più complicata che dicesi la Messa, la quale conservando sempre la parte sostanziale stabilita fino dai tempi apostolici prese nuove forme a secondo dei diversi tempi e dei luoghi diversi con le belissime varietà dei riti orientali ed occidentali. Ma in tanta varietà il pensiero in quei riti è uno solo; ed essi ci attestano che anche le chiese separate, prima della loro separazione da Roma, avevano la stessa fede nel dogma della Eucaristia ed in quello della comunione dei Santi. E perciò quelle antichissime liturgie, le quali si accordano tutte in modo mirabile, sono la più splendida confutazione del protestantesimo che le mutilò in mille modi e le deformò nelle innumerevoli chiesuole nelle quali si suddivise e ne travisò intieramente il significato primitivo.
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