tratto da
A A. V V., Perché credo? base razionale e apologia della fede in trentanove tesi , Paoline, Roma, 1965.
Del prof. Dr. Otto Muck S.J.
Le due prove dell’esistenza di Dio svolte nelle tesi precedenti prendono come punto di partenza la realtà del mondo a noi esterna. Dall’ordine finalistico degli esseri viventi e dalla contingenza del mondo concludono alla spiritualità, alla trascendenza e alla potenza creatrice di Dio. Certamente anche l’uomo è un esempio del grande ordine finalistico della natura vivente; e certamente l’uomo sperimenta se stesso come un essere contingente, che non ha in sé la ragione del suo essere . Ma la cosiddetta prova teleologica e quella cosmologica non considerano espressamente quel che rende propriamente uomo l’uomo: non prendono per base la sua vita spirituale, che si estrinseca nel conoscere e nel volere. È quello che dobbiamo fare ora. La prova antropologica (dal greco anthropos — uomo) mostrerà che l’uomo, nella sua conoscenza e nella sua volontà spirituale, è orientato all’essere infinito e al valore infinito, in guisa che, senza Dio, non sarebbe uomo. Essa ci farà capire cosa significhi Dio per la vita dell’uomo. Dio sostiene tutta la nostra conoscenza e il nostro libero volere sin dalla radice della nostra vita spirituale.
Le considerazioni di questa tesi si ricollegano a quelle in cui abbiamo studiato le condizioni, che rendono possibile la nostra vita spirituale. Nella tesi 2 abbiamo visto che la conoscenza spirituale è solo possibile perché arriviamo all’essere delle cose; e poiché arriviamo all’essere come fondamento delle cose, possiamo e dobbiamo indagare anche sul fondamento ultimo del nostro spirito intelligente. È quel che faremo nel corso della presente argomentazione. Nella tesi 3 abbiamo visto poi che la volontà umana è libera di fronte ai valori parziali, perché è orientata verso il valore supremo e illimitato, cioè verso lo stesso valore assoluto.
Il risultato delle due tesi è stato quindi che la nostra vita spirituale è orientata all’essere e al valore infinito. Ciò costituisce una condizione necessaria per poter conoscere il vero e possedere una volontà libera. Di qui prendiamo ora il via per una prova dell’esi stenza di Dio. Vedremo cioè come l’orientamento della nostra vita spirituale verso l’infinito, il nostro tendere all’essere e al valore assoluto è possibile solo se questo fine, cioè Dio, esiste realmente. L’assunto della tesi è precisamente questo: mostrare l’esistenza di Dio come condizione che solo rende possibile la nostra vita spirituale tesa all’infinito.
Provando che indagare sull’assoluto e tendere a Dio è già una dimostrazione dell’esistenza dell’asso luto, dell’esistenza di Dio, proveremo in pari tempo che Dio non è una semplice proiezione dei nostri desideri (Feuerbach), né il prodotto di un pensiero primitivo e prescientifico (Augusto Comte), e che Sartre ha torto quando pensa che l’esistenza di Dio contrasta con la libera autodeterminazione dell’uomo, anzi faremo vedere che la conoscenza scientifica e la libera autodeterminazione sono possibili solo grazie all’esistenza di Dio
Prova . La nostra prova si articola così:
1. La conoscenza e la volontà dell’uomo tendono all’essere e al valore infinito.
2. Questo desiderio è un desiderio naturale.
3. L’aspirazione naturale è possibile solo se anche il suo termine è intrinsecamente possibile.
4. Se l’essere infinito (e quindi il valore infinito) è intrinsecamente possibile come termine dell’aspirazione naturale, è anche realtà, quindi Dio esiste.
1. Noi uomini non siamo perfettamente « compiuti ». Siamo sempre in via verso la piena realizzazione di noi stessi. Tale perfezionamento però è solo possibile se, prima, possiamo conoscere che cosa ci manca e, poi, ce lo procuriamo. In tale aspirazione Ìnsopprimibile operano dunque unitamente conoscenza e volontà. Inoltre non ci limitiamo a conoscere e a procurarci soltanto cose che servono ai bisogni immediati della vita materiale. L’animale si accontenta di quel che sembra buono ai suoi sensi e soddisfa i suoi istinti; non così l’uomo. La mente dell’uomo tende a conoscere cose e persone così come realmente sono; e in base a questa conoscenza vera prende posizione prò o contro. La verità della conoscenza e la libertà del volere costituiscono la dignità personale dell’uomo. Ma che cos’è che rende possibile la cono scenza vera e la libera volontà e quindi l’uomo nella sua peculiare posizione spirituale?
Conoscere veramente significa conoscere la realtà senza falsarla, senza inquadrarla o sfocarla in una certa prospettiva, con un angolo visuale arbitrario. Una tale conoscenza è possibile solo a una facoltà conoscitiva che si pone direttamente di fronte alla realtà, senza diaframmi e senza pregiudizi. Infatti se la nostra facoltà conoscitiva fosse per natura rivolta a una determinata cosa, potrebbe comprendere il resto solo in relazione a questo suo oggetto proprio; le altre cose sarebbero per noi conoscibili soltanto relativamente, in rapporto all’oggetto cui ci indirizziamo necessariamente per natura, non sarebbero conoscibili in modo assoluto, in se stesse. In tal modo però ne andrebbe di mezzo la conoscenza vera di tutte le cose, che ci è possibile in linea di principio.
La mente umana non si fissa quindi su un singolo essere finito e determinato, su una parte della realtà, su un settore del mondo. D’altra parte essa non è affatto indeterminata. Già la primissima, la più semplice attività spirituale dell’uomo — chiedere che cosa sia questo o quello — verte sempre, sotto svariati aspetti, sull’essere. Soprattutto i cosiddetti principi metafisici si rivelano come conoscenze capitali, come intuizioni dell’essenza dell’essere : l’essere è alla base di tutte le affermazioni (principio di non-contraddizione), e garantisce a tutto il fondamento necessario (principio di ragion sufficiente). Perciò l’essere è determinato in sé e per sé, si fonda su se stesso, è il necessario. A quest’essere tende in ultima analisi il nostro spirito. Questi non si concentra su un ente particolare (ciò distruggerebbe la sua capacità di conoscere la verità), bensì sull’essere in sé e per sé (ciò che appunto lo rende capace di conoscere la verità).
L’essere, che costituisce il fine ultimo del nostro spirito, non può essere a sua volta finito; in tal caso infatti vi sarebbe soltanto una serie di essere finiti. E l’orientamento dello spirito verso un simile essere, come si è già indicato, ci priverebbe della capacità di cogliere la verità. L’essere al quale tende il nostro spirito deve quindi essere infinito, e non nel senso di una semplice somma infinita di cose finite, perché in tal caso sarebbe indeterminato e non potrebbe costituire la condizione di qualsiasi conoscenza determinata. La relazione con l’essere infinito non rende rela tive le cose finite, né rende falsa la loro conoscenza. Questa relazione fonda piuttosto gli enti finiti, che sono proprio in quanto partecipano dell’essere; e so stiene del pari ogni conoscenza conforme all’essere, cioè ogni conoscenza vera. La mente conoscitiva dell’uomo è diretta all’essere in sé infinito. Ma se tale è la nostra conoscenza, altrettanto dovrà dirsi della nostra volontà. Essa segue la conoscenza come suo com plemento. Ambedue sono soltanto fasi di uno stesso moto dello spirito; cioè del suo tendere all’essere e al valore in sé. La mente conosce se stessa e l’altro per amarlo e lo ama per conoscerlo sempre meglio. È impensabile che io conosca l’infinita pienezza dell’essere senza che il mio volere non voglia unirsi amando, a questa pienezza. In questo necessario orientamento del nostro volere al valore infinito ha la sua radice, come si è concluso nella tesi 3, la nostra libertà di scelta di fronte ai valori limitati.
2. Quando poniamo una domanda, interroghiamo sempre sull’essere di qualcosa; ogni domanda ha ine vitabilmente una data struttura: che cos’è? Questo orientamento verso l’essere — e, come si è visto, verso l’infinito — non dipende dal nostro arbitrio, come anche il fatto che dobbiamo domandare. È una caratteristica del nostro spirito, una struttura che in separabilmente portiamo con noi in quanto esseri spirituali. Prima di qualsiasi conoscenza e di qualsiasi scelta sono già predisposto per l’infinito e solo questa predisposizione mi permette la conoscenza della verità e la libertà del volere, quindi la mia stessa umanità. Questa situazione non è secondaria, come una dote della quale si potrebbe fare a meno. È invece una situazione necessaria, l’unica che fa di me quel che sono. È il distintivo della mia natura rispetto alle altre, come per esempio di fronte agli animali o alle piante. Un tale orientamento naturale e determinato verso un preciso fine, è da noi chiamato desiderio naturale. Che cosa ne segue? Se quest’aspirazione fosse impossibile, anche questa nostra natura sarebbe impossibile. Inoltre è assurdo attribuire all’uomo la responsabilità della sua natura e delle sue aspirazioni naturali. Infatti non è stato lui a decidere quel che doveva essere, ma è egli stesso il « prodotto » di questa natura. Egli si è trovato così come è e deve accettare tale modo di essere, anche se non è in grado di intendere queste sue aspirazioni come manifestazione di quel che egli è in realtà.
3. Come va definito il desiderio naturale in base alle riflessioni fatte sin qui? Esso è la natura stessa, in quanto dinamica, in quanto è in movimento, e appunto in un movimento orientato verso un determinato fine a lei adeguato, fine che la determina e la perfeziona come tale. Di conseguenza: questa aspira zione naturale e quindi questa natura non sarebbero intrinsecamente possibili se il fine al quale son orientati, se il desiderio della natura non fosse intrinsecamente possibile .
Parliamo qui di una possibilità intrinseca in op posizione a una estrinseca. La possibilità intrinseca di qualche cosa significa che la cosa può essere realizzata, che non vi è alcuna contraddizione interna in quell’essenza che deve essere realizzata. Ciò però non dice ancora se questa possibilità è già realizzata, se è anche estrinsecamente possibile. Un viaggio verso Marte, per esempio, è in se stesso possibile, secondo me, ma è ancora incerto se ne realizzeremo le condizioni esterne. Viceversa, un cerchio quadrato è intrinsecamente impossibile, poiché conterrebbe una contraddizione. Quel che è intrinsecamente impossibile, resta naturalmente tale anche estrinsecamente. La possibi lità interna è la condizione di quella esterna. Quando perciò diciamo che l’aspirazione naturale è possibile in se stessa solo se lo è anche il suo termine, non affermiamo che questo è una realtà. Ci limitiamo a pretendere che sia intrinsecamente possibile, che la sua essenza non riveli una contraddizione interna, la quale renda a priori impossibile l’esistenza del fine. Né affermiamo che l’aspirazione naturale debba raggiungere senz’altro il suo scopo in se stesso possibile. Qui ci limitiamo a enunciare il seguente prin cipio: il desiderio naturale, quale moto che orienta una natura verso un fine e la determina appunto come questa natura, è intrinsecamente contraddittorio e impossibile qualora il suo fine sia intrinsecamente contraddittorio e impossibile.
Perché è valido questo principio? Ammettiamo che il fine dell’aspirazione naturale sia intrinsecamente impossibile. Tale fine non esisterebbe né come realtà né come possibilità. Essendo intrinsecamente contraddittorio, non si potrebbe nemmeno pensare o immaginare, non sarebbe un concetto o un’idea, bensì il puro e semplice nulla. Che cosa ne deriverebbe per l’aspirazione naturale se il suo fine fosse il puro nul la? Si avrebbe un ente che tende per natura verso il nulla assoluto. Il nulla sarebbe la causa finale del la sua natura; quindi l’impossibilità intrinseca determinerebbe e perfezionerebbe questo ente.
Ma che razza di desiderio naturale sarebbe mai questo? Esso sarebbe altrettanto impossibile quanto il suo termine; sarebbe nulla, come il suo termine è il nulla assoluto. Infatti una natura che tendesse all’assoluto nulla non sarebbe affatto orientata, sarebbe lo stesso caos, sarebbe piena di contraddizioni e di nullità, quindi impossibile, perché solo l’assoluto nulla può essere naturalmente « adeguato » all’assoluto nulla, dal momento che essere e non essere si esclu dono assolutamente a vicenda. Non esiste quindi aspi razione naturale il cui termine sia intrinsecamente impossibile.
4. Data la realtà della nostra natura spirituale, che tende all’infinito, diventa evidente anche l’intrinseca possibilità di questa nostra aspirazione naturale. E per il principio testé enunciato, dev’essere anche intrinsecamente possibile il termine della nostra aspirazione, l’essere infinito e il valore infinito . Ora affermiamo (e questa affermazione vale, come vedremo, solo per questo fine): se il termine infinito è intrin secamente possibile, è anche reale, quindi esiste. Come?
Il termine della nostra aspirazione spirituale è l’essere infinito, che ha in se stesso la ragione del proprio essere, che è indipendente, assoluto, che esiste per intrinseca necessità. Ora, se fosse semplicemente possibile, e non realmente esistente, dovrebbe passare dalla possibilità alla realtà; dovrebbe ammet tere in sé un divenire, che però non è pensabile senza un’aggiunta di essere dall’esterno. Quel che però riceve il proprio essere, è dipendente, non ha in se stesso la ragione del proprio essere, e quindi non è assoluto, bensì contingente. Ora la nostra vita spirituale esige, come termine della sua aspirazione, non la possibilità di un essere finito e dipendente, bensì la stessa ragione ultima e infinita dell’essere . Se dobbiamo ammettere questa possibilità — e lo si deve in quanto condizione che rende possibile la nostra vita spirituale — abbiamo già dimostrato anche la sua realtà.
Ma questo termine, l’essere infinito, è Dio stesso, l’essere distinto dal mondo, personale, oggetto della nostra adorazione e del nostro amore. Se, come affermano alcuni panteisti, l’essere infinito si identifi casse col mondo o questo fosse una parte della sua sostanza, esso sarebbe mutevole e in divenire, e non la ragione ultima e necessaria di tutto l’essere. Se l’essere infinito fosse impersonale, non spirituale, gli mancherebbe una perfezione decisiva, sarebbe limitato e quindi non sarebbe più la pienezza dell’essere.
Rispondiamo ora ad alcune possibili obiezioni.
1. In quel che si è detto ci siamo forse serviti del cosiddetto « argomento ontologico », come secondo molti interpreti ha fatto Anselmo di Canterbury (1033-1109) nel suo Proslogion? Dalla semplice idea di Dio ne abbiamo ricavato direttamente l’esistenza? Ciò non sarebbe invero possibile. Per provare l’esi stenza di Dio devo mostrare una necessaria dipendenza fra una realtà di questo mondo e (almeno) la possibilità intrinseca di Dio. Solo allora è lecito concludere per la sua esistenza. Il nostro punto di partenza era l’aspirazione della nostra natura spirituale, realtà indubitabile.
2. L’orientamento della natura spirituale dell’uo mo verso Dio non contraddice al fatto che Dio trascende le nostre possibilità conoscitive . Essere orientati verso la conoscenza e l’amore di Dio non significa ancora esaurire nella conoscenza l’essere di Dio. Di fronte alle stesse creature umane che conosciamo e che amiamo con tutto il cuore, sentiamo che hanno in sé una profondità che ci limitiamo ad ammette re con reverenza, senza poterla scrutare pienamente.
3. Un teologo potrebbe opporre che secondo la nostra concezione è già connaturata all’uomo un’aspirazione alla visione divina. Come si può conciliare col dogma che solo la grazia ce ne rende capaci, ele vandoci soprannaturalmente? Rispondiamo: in que sta tesi abbiamo parlato soltanto dell’aspirazione del la nostra natura, ma non abbiamo postulato alcuna determinata maniera di soddisfarla. Una disposizione naturale dell’uomo verso l’infinito dev’essere ammessa anche dalla teologia, se questa afferma che la grazia presuppone la natura. Nella nostra tesi resta quindi aperta la questione se l’uomo raggiunge appieno il suo fine, se vedrà Dio « faccia a faccia » — per la qual cosa, s’intende, Dio deve sollevarlo al di sopra della sua natura — o se lo conoscerà solo mediata mente, « come in uno specchio ».
4. È realmente valido il nostro principio: l’aspi razione naturale è intrinsecamente possibile solo se lo è il suo fine? Non tendo io spesso a uno scopo che, come vedrò più tardi, è intrinsecamente impossibile — come per esempio un problema di matematica o di fisica che si rivela insolubile (quadratura del circolo, « perpetuum mobile »)? Qui dobbiamo distinguere tra un’aspirazione diretta coscientemente e volontariamente dal soggetto verso un determinato fine parziale, e un desiderio che può e deve (in un secondo momento) divenire cosciente e volontario, ma che è già presente prima che il soggetto lo avverta, che è orientato per natura precedentemente alla conoscenza e alla decisione personale. Nel primo caso, quando io stesso mi propongo un fine, posso effettivamente perseguirne uno intrinsecamente impossibile, ma solo in quanto mi si presenta come possibile. E vi tendo proprio in grazia della mia naturale disposizione verso l’essere. Senza questo connaturato dinamismo, orientato al fine ultimo del mio essere, non potrei nemmeno aspirare ai fini parziali apparentemente possibili. Nella nostra tesi non si tratta però di un’aspirazione volontaria verso questo o quel fine parziale (talvolta considerato erroneamente come possibile), bensì della disposizione innata e precon scia della nostra natura al suo fine ultimo essenziale e della sua intima dinamica.
5. Ma non è possibile che un altro soggetto abbia diretto l’uomo a un fine intrinsecamente impossibile? Per escludere questa ipotesi non devo presupporre un sapiente e benevolo ordinatore del mondo, Dio, appunto, che devo ancora dimostrare? — Anzitutto notiamo: quando riconosciamo la validità del principio di non contraddizione — cioè che qualcosa non può nello stesso tempo e sotto il medesimo ri spetto essere e non essere (non posso essere insieme uomo e non-uomo) — non dovremmo aver già dimostrato che Dio esiste, dato che è in lui che si fonda in ultima analisi questo principio? No. Basta che la nostra mente, guardando la realtà, distingua il possibile dall’impossibile, e possiamo affermare: nemmeno Dio onnipotente potrebbe, anche se volesse, rendere impossibile alcunché di possibile e possibile l’intrinsecamente impossibile. Da ciò ne segue, per la nostra tesi: nemmeno un essere onnipotente e malvagio sarebbe in grado di orientare la natura umana verso un fine intrinsecamente impossibile, cioè verso l’assoluto nulla e farne un essere dinamico. Quel che è intrinsecamente impossibile non può esser concepito da nessuno, nemmeno dalla stessa onnipotenza, che altrimenti distruggerebbe se stessa.
All’inizio della nostra indagine abbiamo detto: qualunque prova dell’esistenza di Dio deve servirsi del principio di ragion sufficiente. Avremmo dovuto aggiungere che vi sono anche altre ragioni sufficienti oltre la causa efficiente. Ordinariamente, nella prova di Dio, si usa il principio di causalità efficiente: quel che non ha in sé il principio della propria esistenza, è causato. Noi però non abbiamo argomentato così:
la nostra aspirazione naturale deve avere una causa efficiente, e questa potrebbe essere solo Dio (lo si potrebbe anche anticipare), ma siamo passati direttamente dal fatto del nostro tendere all’infinito, alla possibilità e quindi alla realtà dell’infinito: dal tendere a un fine direttamente alla possibilità e all’esistenza del fine. Abbiamo cioè utilizzato il principio della finalità, del finalismo di ogni essere, e specialmente il caso della nostra natura spirituale, e ne ab biamo fatto il principio della nostra prova di Dio. Anche se il ragionamento della nostra tesi è piuttosto arduo, dimostra tuttavia in modo efficace che l’uomo è orientato e disposto, per la sua stessa natura spirituale, verso il trascendente: che lo vogliamo o no, che ne siamo coscienti o no, in qualunque atto spirituale, in qualunque atto del nostro conoscere e del nostro volere, superiamo i limiti del mondo dell’esperienza; ciò dimostra, a chi vi riflette, non solo la nostra disposizione verso l’essere infinito, ma anche, necessariamente, l’esistenza di Dio. Chi medita seriamente sull’uomo, troverà Dio . La nostra vita è tutta diretta a Dio: solo nel seguire questa disposizione troveremo la nostra perfezione. Questo Dio è Verità infinita e Bene infinito. Supera la nostra intelligenza finita, però nello stesso tempo ne è il fondamento. Dio è dunque il sacro Mistero. In lui tutto ha il suo senso ultimo e il suo fine ultimo. Dio non si perita di rivelarci i misteri del suo essere e del suo amore in una speciale rivelazione. Poiché lo fa per una libera decisione, crea, con la sua azione redentrice, con la sua rivelazione storica, la possibi lità, la « chance » in cui l’intima disposizione della nostra natura spirituale sarà soddisfatta nella misura più perfetta. Questa tesi ci porta pertanto ad ammettere l’esistenza di Dio e insieme la sua fondamentale importanza per la nostra vita.
Riepilogo. L’uomo aspira alla conoscenza vera del la realtà e può tendere liberamente al bene. Ciò non sarebbe possibile se fosse intimamente legato a un settore limitato della realtà o a un determinato valore parziale; egli, invece, si apre alla realtà e al bene nella loro infinita pienezza. Tale apertura all’infinito costituisce l’essenza dello spirito; essa non è frutto di una acquisizione personale, ma è data da natura. Fine di questa disposizione naturale è necessariamente l’essere e il valore infinito. Come fine di un’aspirazione connaturata, l’infinito deve però essere intrinsecamente possibile. Se si dimostra l’infinito come intrinsecamente possibile, se ne prova anche la realtà; l’infinito non può infatti essere « meramente possibile ». L’uomo stesso sarebbe impossibile se Dio, neòla sua infinità e assolutezza, non fosse reale! La stessa essenza dell’uomo ci garantisce l’esistenza di Dio.
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