tratto da
A A. V V., Perché credo? base razionale e apologia della fede in trentanove tesi , Paoline, Roma, 1965.
Del prof. Dr. Josef De Vries, S.J.
La tesi precedente ci ha portato alla conclusione che l’ordine finalistico, che riscontriamo negli esseri viventi, postula un autore trascendente e spirituale. Kant nota però che essa, a parte altre difficoltà, può tutt’al più provare l’esistenza di un « architetto dell’universo », ma non quella di un creatore. Rispondiamo notando che, anzitutto, già l’ammissione di un « architetto » spirituale o di un ordinatore del mondo è di gran peso contro il materialismo, e, in secondo luogo, che non c’è motivo per svalutare l’argomento teleologico se non prova tutto.
Inoltre aggiungiamo: siamo in grado di dare dimostrazioni che provano anche l’esistenza di un creato re. Naturalmente esse sono in parte di altro genere, e si sviluppano secondo un processo logico un tantino più arduo di quelli incontrati sinora. Il concetto di creazione, che ci è familiare dal catechismo, presenta innumerevoli difficoltà alla ragione. Dobbiamo quindi chiarire bene il suo significato. Nella vita ordinaria usiamo spesso le parole « attività creatrice » o «creare » (non però « creare dal nulla ») in senso lato e improprio. In senso proprio « creazione » significa far emergere un essere « dal nulla ». É qualcosa che non ci è mai dato di incontrare nell’esperienza. Il « creare » umano è soltanto una trasformazione di una materia preesistente: forgiamo qualcosa ricavandola dal legno, dalla pietra, ma non possiamo produrre qualcosa creando insieme forma e materia, cioè tutto il suo essere. Dio è invece « creatore » in questo senso pieno e per questo è assoluto Signore del mondo. É quello che intendiamo appunto dimostrare in questa tesi.
Opinioni contrastanti. Nemmeno i grandi maestri della filosofia greca, Piatone e Aristotele, sono giunti al concetto di creazione. « Creare qualcosa dal nulla » era per loro un concetto contrario all’esperienza. « Dal nulla non nasce nulla »: questa affermazione era per loro illimitatamente valida. Pur essendo giunti a una concezione relativamente pura di Dio, ritenevano ovvia l’esistenza di una materia eterna, increata, sulla quale si esercita l’attività divina.
Ancor più lontane dalla dottrina della creazione sono le teorie panteistiche ed evoluzionistiche. Esse non solo non ammettono alcun creatore trascendente il mondo, ma nemmeno alcuna causa trascendente l’evoluzione e l’ordine che osserviamo nel mondo, bensì pongono la causa prima dell’evoluzione nel mondo stesso; il mondo si sviluppa spontaneamente, per le forze insite in esso, verso gradi sempre più alti di essere. A seconda che come principio immanente dell’evoluzione prendono la materia o « la vita » o un principio spirituale, si distinguono in panteismo o monismo materialistico, biologico o idealistico. Nella forma materialistica si parla generalmente solo di « monismo », cioè ivi vige una concezione unitaria (dal greco monos = unico), e non si parla di panteismo (dal greco pan = tutto; tbeos = dio), di quella dottrina che vede Dio in tutto, poiché il materialismo rifiuta coer entemente di parlare di « Dio » o anche soltanto di una causa « divina ».
La dottrina della creazione non è originariamente una concezione filosofica, ma si trova per la prima volta nella religione dell’Antico Testamento. Di qui è passata nel cristianesimo e nell’islamismo. Una volta però conosciuta per questa via, non fu più così difficile ai pensatori cristiani derivarla anche da principi razionali. Secondo Sant’Agostino, la mutabilità di tutti gli esseri del mondo dimostra che tutto, compresa la materia, è creato da Dio. Slmilmente anche noi, partendo da tale mutevolezza, intendiamo dimostrare la contingenza dell’universo e quindi la sua dipendenza da un Dio creatore trascendente .
Concetti. Mutamento è il passaggio da un modo di essere a un altro. Il mutamento presuppone, da una parte, un ente che non si mantiene uguale, dall’altra un modo di essere di questo ente (una relazione o simili) che prima non esisteva. Si ha così un mutamen to quando un corpo, che prima era in stato di quiete, si mette in movimento. Quel che in tal caso « è mutato » è il corpo preesistente; il movimento del corpo, invece, non è « mutato » ma « comincia a essere ». Dal mutamento si deve dedurre la contingenza ( = non necessità, dal latino contingere — accadere) e non solo la contingenza della « forma » che comincia ad essere, nel nostro caso il movimento, ma anche la contingenza del « soggetto », cioè dell’ente in cui la forma comincia a essere, nel nostro caso il corpo che riceve il movimento e quindi viene mutato. Che cosa significa dunque « contingenza »? Contingente è quel che, per sua natura, può essere come può non essere; naturalmente non può essere e non essere nello stesso tempo, ma solo in tempi diversi. Contingenza è quindi la possibilità sia di essere sia di non essere. La contingenza esclude la necessità incondizionata dell’essere ; l’asso lutamente necessario non può mai non essere, ma permane sempre, senza cominciare o finire.
Se il contingente può esistere solo attraverso l’azione di una causa, è evidente che un ente il quale, in tutta la sua realtà, è contingente, deve essere causato; in altre parole, deve essere creato. Creare significa infatti produrre qualcosa in tutto il suo essere, quindi non solo creare la forma o una maniera di essere, come per esempio il movimento, l’ordine, la vita, la conoscenza, ma anche e soprattutto il soggetto di tutti questi modi di essere, lo stesso ente che si muove, che è ordinato, che vive, che conosce. Ecco perché creazione significa « produzione di un essere dal nulla », cioè non da un soggetto o materia preesistente.
Prova. 1. Il punto di partenza di questa dimostrazione è il fatto del mutamento, che avvertiamo in tutto ciò che esiste al mondo. Per quanto durevole possa mostrarsi un essere, alla lunga non può sottraisi al mutamento. I corpi si muovono da un punto all’altro, le molecole, anche nei corpi più compatti, sono in uno stato di continua oscillazione; gli stessi atomi si scompongono per la radioattività, oppure possono essere sconvolti artificialmente e persino le mi nime particelle elementari si trasformano continuamente (Heisenberg). Per l’essere vivente il mutamento è così essenziale che la cessazione di determinati movimenti ne rappresenta la morte. La stessa mente dell’uomo non è affatto perfetta sin dalla nascita, ma solo lentamente matura sino a raggiungere la sua compiutezza ed è soggetta ai mutamenti del pensiero e della volontà.
2. Tutto quel che si trasforma è temporale, cioè la sua durata consiste nella successione di durate parziali e passeggere. E ciò non vale soltanto dei modi di essere che sorgono e passano, bensì anche del soggetto in cui avvengono tali mutamenti. Le forme mutevoli non sono, per così dire, l’atmosfera che circonda un essere solo dall’esterno, senza farlo entrare in causa, ma le intime determinazioni dell’essere, i suoi propri modi mutevoli di essere. Ciò presuppone che anche nello stesso essere, soggetto dei modi mutevoli, vi sia un prima e un dopo . Se nel soggetto non vi fosse un prima e un dopo nell’estensione temporale, la sua durata sarebbe soltanto un unico presente, e le determinazioni mutevoli avverrebbero nello stesso presente. Ma qui c’è una contraddizione: il soggetto starebbe, per esempio, nello stesso momento in quiete e in moto, o nello stesso tempo sarebbe conoscente e ignorante. Poiché ciò è impossibile, dobbiamo ammettere che anche la durata del soggetto consiste in durate parziali non identiche, che si susseguono nel tempo. Ma ciò significa: lo stesso soggetto è temporale.
3. Quel che è temporale in questo modo è contingente . Tutti gli istanti della sua durata sono infatti contingenti . La parte di tempo trascorsa, per esempio l’infanzia di un uomo ora trentenne, infanzia che ora non è più, può dunque non essere; gli istanti futuri, come per esempio la vecchiaia dello stesso individuo, non sono ancora e potrebbero quindi non es sere; lo stesso presente fra poco non sarà più e quindi può non essere.
Sant’Agostino ha espresso in modo lucido questo pensiero: « In qualsiasi mutamento della creatura tro vo due tempi, il passato e il futuro. Cerco il pre sente e non ne resta nulla. Quel che è detto, già non è più; quel che dirò, non è ancora. Passato e futuro li trovo in ogni movimento delle cose; nella verità che permane non trovo né passato né futuro, ma solo un intramontabile presente che non esiste nelle creature. Rifletti sui mutamenti delle cose, tro verai il “fu” e il “sarà”; pensa a Dio e troverai un “è”, nel quale non può esserci un “fu” e un “sarà” ». Ora, se tutti gli istanti della durata di un essere sono transeunti e quindi contingenti, anche la sua durata complessiva, che si compone delle durate parziali, è transeunte e contingente. Ciò significa però: lo stesso soggetto è contingente; poiché la durata di un soggetto non è altro che la sua permanenza; ma un essere che non permane necessariamente non è necessario, bensì contingente.
Si vede dunque che ogni ente, che si trasformi o sia trasformabile, è contingente. Ciò vale anche se nulla mutasse, anche se l’essere considerato non avesse avuto un inizio, se, come si suoi dire, esistesse ab aeterno. Non è nostra intenzione approfondire la questione se sia possibile un essere esistente ab aeterno e nello stesso tempo mutevole. Comunque anche un simile essere sarebbe contingente.
Ne deriva una conseguenza importantissima: la materia, che è mutevole in tutte le sue forme, è comunque contingente . Per costatarlo non abbiamo bisogno di risolvere il problema se abbia avuto un inzio. Anche se, come afferma il materialismo (senza peraltro dimostrarlo), fosse ab aeterno, resterebbe pur sempre « temporale », cioè soggetta alla successione e pertanto contingente.
4. Il contingente è causato, deve cioè la sua esistenza a una,causa. Questo principio si chiama « principio di causalità » 2 .
1 S. 38 sul Vangelo di Giovanni, n. 10.
2 Cfr. tesi 2.
Essere contingente significa pro priamente non essere da sé, per essenza propria, bensì poter tanto essere quanto non essere. Il contingente ha solo la possibilità di essere. Se esiste realmente, non esiste a causa della sua stessa essenza. Non può prodursi da sé, per essenza propria; per operare deve già essere. Il contingente è quindi affatto incapace di spiegare e fondare la sua esistenza.
Nella sua esistenza deve dipendere da un altro. Quest’altro, a sua volta, non sarebbe in grado di fondare l’esistenza del contingente se fra i due non esistesse una relazione. Nell’altro dovrà dunque trovarsi la ragione, il perché dell’esistenza del contingente. Ma quel che giustifica l’esistenza del contingente è da noi chiamato « causa » . Il contingente esiste dunque per una causa. Ma come può un essere causare l’esistenza di un altro? Qui non basta naturalmente richiamare gli intimi elementi strutturali dell’essere contingente, perché questi sono a loro volta contingenti. La causa deve stare piuttosto al di fuori dell’essere contingente e dare direttamente a questo l’esistenza. Chi però da direttamente l’essere a un altro, che lo porta a esi stere, che lo « produce », lo fa attraverso la sua azione. La causa dell’essere del contingente è quindi, per essere più precisi, causa efficiente.
È chiaro quindi che l’essere mutevole è causato dall’azione di un altro.
5. Ma poiché, come si è visto, tutti gli enti del mondo sono mutevoli, dev’esserci una causa « trascendente » di questo mondo, distinta da esso. La causa prima di tutto quel che esiste al mondo, non esclusa la materia, è necessariamente posta al di sopra del mondo.
Se questa causa trascendente fosse anch’essa mu tevole, richiederebbe a sua volta una causa. Ma è im possibile che la totalità dell’essere sia causata. Infatti, dato che nulla può causare se stesso, oltre alla totalità dell’essere dovrebbe esserci una causa di questa totalità; cioè la pretesa totalità dell’essere non abbraccerebbe in realtà tutto l’essere. Perciò deve necessariamente esistere una causa prima non causata di tutto l’essere causato. Ma poiché tutto l’essere contingente è causato, la causa prima non può essere contingente essa stessa, ma deve consistere in un essere necessario per essenza, che non può non essere e che quindi non è mai cominciato né finirà mai.
Inoltre questa causa prima dev’essere immutabile, poiché tutto ciò che muta è essere causato, come si è visto . E poiché l’essere mutevole, come pure si è visto, essendo causato, è temporale, la causa prima è necessariamente sopratemporale, cioè: non soltanto senza principio e senza fine, bensì anche senza successione di istanti temporali, « eterna » nel pieno senso della parola.
Anche lo spirito umano è mutevole e pertanto causato. Ma la causa deve necessariamente essere almeno altrettanto perfetta quanto il suo effetto, altrimenti sarebbe una causa insufficiente. Ne risulta che la causa prima trascendente è un essere spirituale, e proprio perché causa di un essere spirituale autono mo, deve essere essa stessa un essere spirituale autonomo, cioè una persona. La causa prima, quindi, non è soltanto una « causa » concreta, bensì un autore personale . Il mondo mutevole non è concepibile senza un autore increato, necessario per essenza, trascendente e personale. A tale essere noi diamo il nome di Dio. In tal modo l’esistenza di Dio appare come l’unico fondamento possibile del mondo.
6. Allorché ci domandiamo di che genere è l’attività di Dio mediante la quale è autore del mondo dobbiamo aggiungere: Dio è creatore del mondo in senso proprio. La prova teleologica ci ha portato dapprima a Dio come ordinatore, autore dell’ordine del mondo; la prova della contingenza del mondo ci mostra invece Dio come colui che ha prodotto tutto l’essere in senso pieno, senza presupporre alcun substrato, alcuna materia preesistente, indipendente dalla sua attività. Come si è visto, infatti, anche l’ultimo substrato, i fenomeni corporei, il volere e il conoscere spirituale in questo mondo sono mutevoli e quindi creati in tutto il loro essere. Come l’essere corporeo, così anche l’anima spirituale dell’uomo sono prodotti in tutta la loro realtà da Dio, prodotti dal nulla, cioè creati.
7. Da ciò si deduce un’altra conseguenza: la con tingenza dell’essere non cessa una volta avvenuta la creazione. Gli rimane sempre la possibilità di non essere, e quindi il bisogno di una causa che lo conservi nell’essere e lo preservi dal ricadere nel nulla. La creazione non va quindi intesa come un’attività avutasi una volta per sempre e ormai passata, bensì come un continuo influsso del creatore che conserva l’essere della creazione. In questo senso il mondo mu tevole è continuamente sorretto dalla potenza crea trice di Dio.
Soluzione delle obiezioni. Il materialismo obietta alla prova citata che la materia è eterna e quindi non ha bisogno di un creatore. L’eternità della materia è sostenuta in base alla legge della conservazione della massa, che esclude qualsiasi accrescimento della materia. Ma questa legge è solo fisica, fondata sull’osservazione di processi interni alla natura; esclude quindi un aumento della massa per forze naturali insite nel mondo, ma non può pronunciarsi sulla possibilità o impossibilità di una nuova creazione di materia ad opera di Dio. Inoltre, come già si è visto, la mancanza di un inizio non prova ancora che la materia sia increata. Anche se si dimostrasse « l’eternità » della materia, dovremmo dire: è creata ab aeterno.
Un’altra difficoltà sorge a proposito dell’applicazione del principio di causalità nel punto 4. Ivi, si dice, dal fatto che il contingente non è causa della sua esistenza, si conclude senz’altro che deve avere in un altro il fondamento del suo essere. In tal modo però si presuppone illegittimamente il principio di ragione sufficiente 3 , si fa cioè una petitio principii, si presuppone quel che si deve ancora dimostrare. Rispondiamo che quel che dobbiamo dimostrare, nel nostro caso, è il principio di causalità, che non si identifica con quello di ragion sufficiente ma può in qualche modo presupporlo, senza che vi sia una petizione di principio. Concediamo volentieri che nell’espressione « poiché il contingente non è in grado di darsi da sé la propria esistenza, deve dipendere da un altro » è contenuto il principio di ragion sufficiente. Ma ci sembra che in questa proposizione esso sia facilmente comprensibile. A chi poi partisse dal pregiudizio che solo le proposizioni « analitiche » nel senso kantiano, cioè le proposizioni in cui il predicato è già contenuto nel soggetto, sono evidenti, ricordiamo che così facendo si preclude a priori qualunque accesso alla metafisica 4 .
L’importanza dei risultati della nostra prova non ha bisogno di essere sottolineata. Dimostrando Dio come creatore del mondo, abbiamo affermato nello stesso tempo la sua potenza superiore a ogni inten dimento e la totale dipendenza del mondo e dell’uomo da lui.
3 Cfr. tesi 2.
4 Cfr. J. De Vries, Denken und Sein, Eriburgo, 1937, p. 100-107
Queste verità sono di importanza de cisiva per la religione. Esse non provano ancora espli citamente l’infinità e l’unicità di Dio, ma le sfiorano assai da vicino. Infatti se la potenza di Dio è tanto grande da poter trarre il mondo dal nulla, a questa potenza deve corrispondere un’essenza che possegga l’illimitata pienezza dell’essere. Ma a sua volta l’essere infinito può solo essere uno.
Riepilogo. Tutto ciò che esiste in questo mondo visibile è soggetto a mutamento e quindi è temporale. La durata di qualsiasi essere temporale è costituita da una successione di istanti temporali che passano, e quindi sono tutti contingenti, cioè non necessari per essenza; quindi anche la durata complessiva degli esseri mutevoli e il loro stesso essere è contingente, anche nel caso che esista da sempre. Tutto il contingente deve la sua esistenza all’azione di una causa. Tutto quel che esiste al mondo, in tutte le sue parti e in tutta la sua realtà è effetto dell’azione dì una causa trascendente, cioè: è creato
Desideri approfondire questi argomenti? CLICCA QUI |